L'Io Diviso
L'Io Diviso
Studio di psichiatria esistenziale
R. D. Laing
Può un libro scritto nel 1960 essere ancora attuale? Nella maggior parte dei casi la risposta appare quasi scontata ma se parliamo de L'Io Diviso di Laing non ne sarei così sicuro. Andiamo a vedere il perché.
Tra la fine degli anni 50 e gli inizi anni 60 questo libro fece grande scalpore nel mondo della psichiatria, poiché l'autore metteva in crisi i tradizionali metodi di cura dei pazienti schizofrenici, tracciando una nuova prospettiva in cui il malato mentale potesse essere preso in carico come soggetto di cura, criticando la tendenza della psichiatria a “spersonalizzare” la persona vedendola come un oggetto.
Era una delle prime volte che anche in ambito psichiatrico si prendeva in considerazione il paziente come persona e non solo come portatore di malattia. Con la sua prospettiva esistenziale Laing ha messo in luce forse per la prima volta tutte le problematiche della psichiatria di quegli anni nella cura dei pazienti psicotici.
Ma veniamo alla domanda iniziale: perché dovrebbe essere ancora attuale un libro che ha contribuito a modificare la filosofia e i setting di cura di questi tipi di pazienti ma che è stato anche superato dalle scoperte neuroscientifiche, dalle terapie cognitive, interpersonali e da nuove categorie diagnostiche?
La risposta è probabilmente contenuta nella prima parte del libro dove Laing descrive magistralmente le caratteristiche di personalità e le carenze relazionali dello Schizoide. Questa parte del testo presenta una ricchezza di contenuti clinici incredibile per il momento in cui è stato scritto questo testo ed alcune intuizioni dell'autore, (influenzato in modo significativo dal primo fenomenologo esistenzialista Ludwig Binswanger e dal filosofo Jean Paul Sartre), precedono di molti anni tante delle più importanti scoperte scientifiche; quando Laing parla di considerare la persona, e non la malattia, al centro dell'intervento terapeutico, sta anticipando quella corrente di psicoanalisi interpersonale che di lì a poco avrebbe fatto il suo ingresso nel mondo psicoanalitico. Nonostante ci fosse già all'interno del panorama psicoanalitico chi metteva la relazione al centro del trattamento (Ferenczi e Balint ad esempio) e la visione della persona come totalità nei progetti di cura, in pochi avevano teorizzato un simile percorso con i pazienti schizofrenici o psicotici in generale. Sembra che egli abbia intimamente compreso più che la patologia psicotica in sé, la difficoltà di questi soggetti di stare al mondo e di vivere all'interno della società.
Ritornando alla prima parte, che mi sembra quella con più riferimenti utili per chi è interessato al mondo Schizioide, un altro merito è quello di aver evidenziato ancor prima che la teoria dell'attaccamento venisse alla luce nella forma in cui noi la conosciamo, il concetto di sicurezza ontologica primaria, che è un riferimento teorico molto simile alla base sicura concettualizzata da Bowlby negli anni successivi. Gli spunti sulla perdita dell'identità dello Schizoide a causa della paura di dipendere dagli altri, così come le modalità di relazione di questo tipo personalità (risucchio, isolamento, implosione), ma soprattutto, la descrizione del Falso Io come sovrastruttura inconsistente impersonata dal corpo, sono sprazzi di genialità applicati alla pratica clinica.
Da questa recensione può sembrare che questo libro sia rivolto solo agli addetti ai lavori, ma in realtà può interessare chiunque sia curioso di sapere che cosa avviene quando, in alcuni momenti della nostra vita, arretriamo le nostre difese, arroccandoci su posizioni che ci tolgono dal dialogo con gli altri, costringendo a difenderci nella nostra roccaforte come i villaggi medievali assediati dagli attacchi nemici e quali possono essere le conseguenze di questo tipo di comportamenti.
Nelle persone che hanno grosse difficoltà a relazionarsi con il mondo esterno queste caratteristiche sono presenti in maniera più evidente: il proprio corpo viene sentito come estraneo come se non appartenesse a se stessi ma fosse in balia degli altri. La parte autentica dei soggetti con queste difficoltà è all'interno, dove però l'individuo si costruisce un microcosmo fatuo in cui il desiderio onnipotente di libertà e autonomia si esprime con l'isolamento completo dai rapporti reali a favore di quelli fantasticati. La fuga da ogni tipo di responsabilità è figlia del sentirsi incatenato alla vita e della paura nell'assumere un ruolo ben definito ed un'identità riconoscibile al mondo esterno e alla propria parte interna proiettata all'esterno.
Credo che il significato profondo di questo libro non stia tanto in una critica alla psichiatria ma risieda in un messaggio esistenziale rivolto a tutti: erigendo continuamente barriere verso il mondo esterno queste non assolvono più alla funzione di protezione ma sono un modo per scappare dal rapporto con l'altro; ciò conduce ad una vita di relazione improntata all'isolamento, per paura che la dipendenza da un'altra persona o dalla realtà esterna possa rappresentare l'estinzione della propria identità e, a livello psicologico, anche della propria esistenza.
Dr. Gianluigi Basile